La stanza di Van Gogh finisce su Airbnb per promuovere una mostra: perché l’idea ha funzionato?
Perché parliamo di marketing emozionale.
È Il 2016 e l’Art Institute of Chicago organizza una mostra dove sono esposti alcuni dipinti di Van Gogh, tra cui le tre versioni della stanza di Arles. Si tratta di un dipinto che probabilmente conoscono quasi tutti ma non è considerato tra i più emozionanti.
Il museo si interroga su un modo originale per promuovere la mostra e incentivare le visite, partendo da un dipinto che sì, è bellino e apprezzato dagli estimatori di Van Gogh ma che, ammettiamolo, non ha certo lo stesso impatto della Notte Stellata.
Però rappresenta la stanza di Van Gogh; una stanza vera ad Arles che il pittore olandese ha dipinto mentre ci stava dentro, dormiva in quel letto, si affacciava da quella finestra.
L’idea per la promozione arriva chiara, pulita e intelligente; perché non mettere la stanza di Van Gogh su Airbnb, la famosissima piattaforma di affitto per case, stanze e strutture vacanziere?
Così, ecco che Van Gogh diventa host di Airbnb per affittare la sua stanzetta perché, sai, lui è un pittore un po’ spiantato e con i soldi dell’affitto deve acquistare le tele e pennelli per realizzare il suo prossimo capolavoro.
Certo, Vincent è squattrinato e forse non ci sta tantissimo con la testa ma è di buon cuore, e a chi sceglierà di soggiornare nella sua umile stanzetta regalerà un biglietto per la mostra in corso all’Art Institute di Chicago.
Cosa sono le storie di legame e perché sono importanti?
Nessuno, purtroppo, avrà mai l’onore e il piacere di conoscere il genio tormentato e sensibile di Van Gogh di persona. Però, trascorrendo una notte nella sua stanza, diventa d’un tratto possibile entrare in qualche modo in contatto con lui e immaginare come fosse dormire in quel letto, chiedersi se le lenzuola fossero profumate e se la mattina Vincent si svegliasse con il canto degli uccellini fuori dalla finestra.
L’idea della stanza di Van Gogh su Airbnb ha funzionato, e anche bene, perché si è creata una storia di legame. Le storie di legame sono i racconti che ci appassionano e coinvolgono nel profondo, perché sollecitano le emozioni ancora prima della risposta razionale che normalmente ci fa compiere o meno un’azione.
La trovata del museo di Chicago ha avuto successo, non tanto per il biglietto collegato alla mostra ma per la suggestione, ben costruita, di poter in qualche modo conoscere Vincent, immaginando di provare quello che provava lui durante le notti trascorse in quella piccola stanzetta di Arles.
Dormire nella stanza di Vincent restituisce in qualche modo un senso di vicinanza e condivisione della stessa esperienza, e questo pone le basi per il secondo step: la visita alla mostra, dove ci sono i dipinti della stanza e, guardandoli, scappa un sorrisetto al pensiero “ci sono stato/a anche io”.
Se ti chiedi a cosa serve raccontare storie, pensa a come – senza la trovata nella stanza su Airbnb – il museo di Chicago avrebbe dovuto inventarsi qualche escamotage creativo per attirare visitatori all’interno delle sue sale. Alla fine, è bastato raccontare una storia; e che storia quella del buon Vincent, un personaggio intenso e complicato che ci ha lasciato in eredità così tanta bellezza.
Credo che tutti noi avremmo voluto conoscerlo per scambiare due chiacchiere con lui.
Marketing emozionale = storie di legame = storytelling
Quanto sono importanti le emozioni per la storia di un’azienda?
Tanto, tantissimo: le sensazioni suscitate da leve che spingono sulle emozioni sono uno strumento potente per guidare i processi decisionali.
D’altronde, quando acquistiamo un prodotto non acquistiamo solo un prodotto ma un’idea, uno stile di vita, un valore che in qualche modo ci rappresenta e condividiamo.
La stanza di Van Gogh è un esempio di come il venditore (in questo caso il museo) elimina il filtro della distanza con l’utente e addirittura lo invita a entrare dentro al suo “prodotto” (quadro). In questo modo la stanza non è più solo un dipinto ma un luogo dove immaginare la vita di Vincent, sentirsi vicini all’artista in modo intimo, amichevole, come se lo si conoscesse davvero e fosse del tutto normale finanziare con il soggiorno la sua spesa di tele e colori.
Oltretutto, dettaglio fondamentale, l’annuncio della stanza è stato scritto da Van Gogh, nel senso che il responsabile della faccenda non è mai stato il museo ma Vincent, possessore della stanza e responsabile della decisione di metterla in affitto su Airbnb.
Questa simpatica scelta comunicativa rompe definitivamente la barriera tra “venditore” e utente, anche perché così facendo Vincent acquista una dimensione reale, tornando in un improbabile presente nei panni di host su Airbnb.
Le storie di legame ci colpiscono in punti delicati, mettendo in funzione tutto ciò che regola la natura umana: curiosità, vicinanza, familiarità, empatia, comprensione, altruismo, condivisione, desiderio di inclusione.
Quello della stanza di Van Gogh è un caso carino da conoscere ma le storie di legame sono ovunque, e le aziende che hanno scelto il marketing emozionale sono spesso leader indiscussi nel loro settore, con una brand identity definita da valori condivisibili dal loro (ampio) target.
Una comunicazione di questo tipo, fatta di storytelling ed emotività, trasforma il prodotto in esperienza e il processo di acquisto in un atto di fiducia; se un brand ci rispecchia e ci somiglia, noi lo scegliamo una volta, poi due, e poi probabilmente per sempre.
Il legame che si instaura è basato sulla fiducia e la condivisione di valori, pensieri, visione generale del mondo, che è un po’ come trovare la famosa anima gemella (forse? Boh).
Gli esempi di brand con storie di legame famosi sono Ikea, Apple, Coca Cola, Nike ma i casi di emotional branding sono tantissimi; anzi, se ne hai qualcuno da suggerire o che ti piace in modo particolare segnalamelo, così ne parliamo in un prossimo articolo!